L’economia alla rovescia. L’ingiustizia di dover iscrivere alla voce “debito” quel che è ricchezza per il popolo

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Caro direttore, per mettere in cattiva luce la mia prima critica alla Bce apparsa su tempi.it, mi è stato ribattuto che il mio sarebbe un falso problema, poiché la maggior parte degli utili delle banche centrali finisce – come da statuto della Banca d’Italia – allo Stato, e che quest’ultimo è perennemente bisognoso di moneta perché non crea alcuna ricchezza.

Partiamo proprio da questo secondo punto. Lo Stato non crea alcun tipo di ricchezza? Evidentemente istruzione, sanità, sicurezza data dalle forze dell’ordine, giustizia e tutti gli altri servizi forniti dallo Stato, per chi mi critica non sono “ricchezza”. Questo è proprio il punto per il quale ho deciso di rispondere all’articolo di Giovanna Jacob: secondo tale linea di pensiero, come nel sistema monetario e finanziario oggi dominante, questi servizi non hanno valore, non generano profitti (tranne nei casi di corruzione), non permettono speculazioni. Non hanno valore per la finanza, ma hanno un enorme valore per la popolazione!

Che lo Stato sia costretto ad essere bisognoso di moneta per fornire questi beni oggettivi per la civiltà, questa è un’assurdità. L’assurdità consiste precisamente nel fatto che nel nostro sistema sia quantificato come disvalore (debito, generato dalla moneta presa in prestito) ciò che è valore.

Che lo Stato sia “costretto” a indebitarsi per fornire istruzione e servizi sociali, questo è un danno oggettivo per il popolo. E in tempi di crisi questo si traduce in progressivi tagli che otterranno l’unico effetto di depauperare moralmente e spiritualmente il popolo, fino al depauperamento anche economico e materiale. Questo è l’ovvio risultato di un ambiente sociale nel quale, per anni, per sanità e istruzione, vi sono sempre meno soldi.

La maledizione del contribuente
Non potendo stampare moneta, oltre a far crescere il debito, lo Stato cercherà di affrontare la spesa anche innalzando le tasse. Ma neppure l’economia reale può creare moneta. Quindi se aumentano le tasse, l’economia reale (famiglie e imprese) subiscono un depauperamento.

A questo punto, si configura una sola alternativa, che possa rendere teoricamente sostenibile il sistema. Dico “teoricamente” perché comunque è un sistema che prevede una crescita continua e questa è già una cosa fuori dalla realtà. In ogni caso, ad aggravare la situazione c’è il fatto che l’unica via d’uscita è che le imprese riescano ad esportare tanto da far crescere il Pil e permettere allo Stato, tramite la tassazione comunque alta, di pagare il debito. Ma il mondo è un ambiente chiuso: come faranno i paesi del mondo a essere tutti esportatori? Dove andremo ad esportare, sulla Luna?

Queste considerazioni rendono evidente che il modello economico e monetario che preveda la banca centrale indipendente e l’impossibilità per lo Stato di stamparsi la sua moneta è un modello che non può funzionare. Oppure può funzionare per un breve tempo, ma il debito non farà che crescere: indipendentemente dalle politiche fiscali o dall’applicazione di qualsiasi politica di austerità, il debito potrà solo crescere. Esattamente quello che è accaduto in questi anni, lo abbiamo sotto gli occhi.

Chi governa le banche
Se i ragionamenti fatti sono corretti, appare evidente che tutte le elucubrazioni a difesa dell’indipendenza della banca centrale sono come foglie di fico capaci di nascondere ben poco. Come quando si tenta di usare la foglia di fico della fantastica idea che la banca centrale, resa così indipendente dallo Stato, serva comunque l’interesse pubblico e non interessi privati. Certo, a norma di statuto, la Bce è composta dai governatori delle singole banche centrali. E queste sono formalmente istituti di diritto pubblico. Ma i partecipanti al capitale di Banca d’Italia sono proprio le banche italiane, mentre la presenza dello Stato è ridotta ad un misero 5 per cento (detenuto dall’Inps).

E pure nella forma c’è qualcosa che non quadra, qualcosa di davvero clamoroso. Perché le banconote che noi abbiamo in tasca e stampate dalla Bce sono titoli che ricadono nel diritto pubblico, poiché emesse da un istituto di diritto pubblico. Ma come qualsiasi lettore può verificare aprendo il proprio portafogli, sulle banconote euro, vicino al simbolo “BCE” c’è il simbolo del copyright “©”. Quindi, in un titolo ufficiale di diritto pubblico, abbiamo una chiara espressione di diritto privato. Dal punto di vista del diritto, una vera oscenità. Che pone molti interrogativi sulla natura di diritto pubblico di un istituto che come partecipanti al capitale vede al 95 per cento istituti di diritto privato, i quali mettono i propri rappresentanti nel consiglio di amministrazione dello stesso istituto di (presunto?) diritto pubblico.

E se dalla forma passiamo alla sostanza, le cose stanno se possibile ancora peggio. Ancora c’è chi propaganda la favoletta che “la maggior parte degli utili finisce nelle mani dello Stato”. Dal bilancio del 2014 (pubblicato nello scorso maggio), sappiamo che allo Stato sono finiti quasi 2 miliardi di euro sui risultanti quasi 3 miliardi di utile. Evviva, quasi tutto allo Stato!

Ma andiamoci piano, cerchiamo di vedere più in profondità. Anzitutto si tratta del rimanente dell’utile che, a norma di statuto, tocca allo Stato sull’utile netto che risulta. Sto forse facendo capire subdolamente che “quello che risulta” non corrisponde alla realtà? No, lo dico esplicitamente!

Per carità, la Banca d’Italia rispetta alla virgola le norme di legge e le regole di composizione del bilancio che la riguardano. Quello che sto dicendo, e che nessuno osa dire, è che la ripartizione dell’utile che risulta prevede una quota del 6 per cento alle banche e il resto allo Stato; ma togliendo, sempre a norma di statuto (articolo 40), gli accantonamenti per la riserva ordinaria e la riserva straordinaria, che possono arrivare (e normalmente arrivano) al 20 per cento ciascuna (su insindacabile decisione del Consiglio superiore, cioè uomini scelti dai banchieri a rappresentare i loro interessi). Quindi normalmente viene tolto un grasso 40 per cento all’utile, a favore di riserve che, per casi straordinari, servono a soccorrere e proteggere… indovinate un po’ chi… le banche!

A questo aggiungiamo pure il gioco sporco fatto dalle banche: queste depositano presso la Banca d’Italia – loro possono – diversi miliarducci, col risultato di incassare un interesse per questo deposito. L’interesse è modestissimo, d’accordo; infatti il punto non è questo modesto interesse, ma il fatto che tale interesse pagato dalla Banca d’Italia diventa una passività per la stessa e questo ovviamente finisce con l’abbattere l’utile finale. Togli di qui, togli di là, e allo Stato tocca una grossa fetta di… quello che rimane.

La crisi, che fortuna
Aggiungo questo. Per comprendere meglio la situazione è bene vedere non solo la fotografia finale (l’ultimo bilancio) ma il film di questa storia. Allora occorre osservare che questo utile è una sorta di record, grazie a un bilancio che è letteralmente esploso da quando c’è la crisi. Proprio così, da quando c’è la crisi, gli utili sono esplosi e le banche italiane fanno grassi profitti grazie alla loro modestissima partecipazione al capitale. Un capitale che è stato pagato con appena 300 milioni di lire e poi convertito in 156 mila euro. Poi è stato rivalutato a 7,5 miliardi di euro (grazie a Monti!). E così le banche non hanno cacciato un euro ma hanno iscritto a bilancio (nei loro dissestati bilanci) la quota parte di quei 7,5 miliardi, invece che una quota parte di 156 mila euro.

Insomma, in ragione di un modestissimo versamento compiuto decenni fa, le banche fanno oggi grassi profitti sui redditi da signoraggio, a causa di utili esplosi grazie alla crisi economica! Tanto paga lo Stato! Eh sì, perché i profitti di Bankitalia sono i rendimenti dei titoli di Stato da lei detenuti, quindi paghiamo noi!

Nel 2008 l’utile è stato pari a 175 milioni e allo Stato sono andati 105 milioni (il 60 per cento). Poca roba rispetto ai quasi 2 miliardi di quest’anno. Ma dal 2008 ad oggi è scoppiata la crisi e per le banche è iniziata la cuccagna.

Per fare un paragone e comprendere meglio quanto accade, vediamo cosa succede nella vicina Svizzera. In Svizzera il governo ha deciso (badate bene: il governo, non la banca centrale) che il contributo per il reddito da signoraggio deve essere una cifra fissa ogni anno, in modo da poter programmare meglio le spese di governo. Tale cifra dal 2011 è fissata a 1 miliardo di franchi svizzeri. Poiché oggi il cambio tra franco e euro è molto vicino a 1, possiamo dire con una certa approssimazione che si tratta di 1 miliardo di euro. In totale, quindi, si tratta di circa 130 euro a testa per i poco meno di 8 milioni di abitanti della Svizzera. In Italia invece il reddito di signoraggio di Bankitalia nel 2014 ci ha fruttato appena 33 euro a testa. Che ne dite, cacciamo via il governatore Visco per scarso rendimento? Cacciamo via questo bravo signore che si piglia uno stipendiuccio annuo da 495 mila euro lordi (ma prima che se lo riducesse, nel 2013, erano appena 750 mila all’anno)?

Perché una banca dello Stato
Quello che io propongo non è un banale ritorno alla lira, con lo Stato costretto a cercare denaro offrendo i propri titoli sui mercati internazionali (e potenziale vittima di speculatori alla Soros, come nel 1992); né voglio tornare alla situazione precedente al divorzio tra Tesoro e Bankitalia (1981), quando comunque Bankitalia comprava regolarmente i titoli di Stato, mantenendone bassi i rendimenti da pagare. No: quello che vorrei è una Banca d’Italia che sia propriamente un ufficio dello Stato e che il denaro creato da Bankitalia finisca direttamente nel bilancio dello Stato, tra gli attivi. Proprio come già oggi succede per le monetine euro stampate dallo Stato (previo accordo con la Bce).

Il risultato sarebbe che la voce “banconote in circolazione” che oggi compare tra i passivi di Bankitalia comparirebbe tra gli attivi del bilancio dello Stato. E sarebbero “solo” 160 miliardi di euro. Quindi per lo Stato ci sarebbe un beneficio finanziario immediato di 320 miliardi circa, senza stampare un euro in più! (Sono 160 miliardi di passivo che scompaiono da Bankitalia e la stessa somma che compare tra gli attivi dello Stato).

Già immagino il commento sarcastico di alcuni: “Eccolo! Signoraggista!”, “Vuole portare l’Italia alla rovina!”, “Si illude di risolvere tutti i problemi con la stampa infinita di moneta!”, “Senza l’euro, andremo in bancarotta!”. Dimenticando che in Europa ci sono dieci Paesi che non hanno l’euro e stanno meglio di quelli che lo hanno. Quelli che pensavano di adottare la moneta unica (vedi Polonia e Ungheria), dallo scoppio della crisi ci hanno ripensato e oggi stanno meno peggio.

No, niente vita da nababbi con la stampa infinita di moneta. Non si risolvono tutti i problemi solo stampando moneta, ma ogni problema finanziario diventa irrisolvibile senza la proprietà della moneta. Quello di cui accusano oggi i signoraggisti è precisamente quello che ha fatto la Bce in questi anni, stampando fiumi di denaro ma indebitandoci. Quello che chiedo invece, e che dovrebbe essere naturale (ed è fissato dalla nostra Costituzione), è il riconoscimento di un valore, del valore di un popolo, che può essere rappresentato da una moneta che non dobbiamo chiedere a nessuno, una moneta che possiamo creare senza indebitarci con nessuno.
Fonte

Fonte L’economia alla rovescia. L’ingiustizia di dover iscrivere alla voce “debito” quel che è ricchezza per il popolo su Portale Economia.

Portal economia

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